Viterbo, la “Città dei papi”, così chiamata per aver ospitato nel XIII secolo vari pontefici, è una caratteristica e tranquilla città medievale che conserva intatto il borgo duecentesco di San Pellegrino, ancora ricco di antico fascino e suggestione, con il palazzo degli Alessandri (XIII sec.), le casette dell’epoca, le strette e tortuose vie, i famosi “profferli” e le numerose torri medievali.

Imponente è piazza del Plebiscito dominata dal Palazzo dei Priori con il seicentesco cortile interno dove sono custodi alcuni coperchi di sarcofagi etruschi. Di grande incanto piazza S. Lorenzo in cui si apre il monumentale scenario costituito dal Duomo, il duecentesco Palazzo Papale, che nel medioevo ospitò diversi papi, e la Loggia delle Benedizioni. Il  percorso si snoderà tra i quartieri medievali, le splendide piazze e le caratteristiche fontane della città. Ma ci sarà anche la possibilità di affacciarsi dalla Loggia delle Benedizioni e di visitare Palazzo dei Papi e soprattutto la Sala del Conclave.

Qui  vennero eletti ben cinque papi! Il termine conclave, dal latino “clausi cum clave“, è stato coniato proprio a Viterbo in occasione dell’elezione papale più lunga della storia: 33 mesi ed un giorno! La vicenda andò così. Nel 1268 doveva eleggersi il successore di Urbano IV ed i cardinali, divisi in due fazioni contrapposte, non riuscivano a mettersi d’accordo sulla scelta di un papa italiano o francese. In realtà non era la prima volta in assoluto che i cardinali decidevano una sorta di clausura per eleggere il nuovo capo della Chiesa, ma – come scrive Ambrogio Piazzoni nella sua “Storia delle elezioni pontificie” (edizioni Piemme) – «il conclave di Viterbo suscitò un’impressione straordinariamente forte, registrata in tutte le cronache coeve», sia per la sua durata – una Sede vacante di oltre due anni e mezzo – sia per il famoso “scoperchiamento” del tetto del palazzo dov’erano riuniti i cardinali.

Dai documenti studiati più di recente risulta che i cardinali decisero volontariamente la clausura, stipulando un apposito accordo con il podestà e con il capitano del popolo di Viterbo, per garantire la tranquillità dei porporati e per assicurare il controllo delle strade, in modo da rendere possibile e sicuro raggiungere la Curia pontificia. Ma il tempo trascorreva invano, perché tra i cardinali «maxima est discordia» come narra una fonte. Dopo circa un anno le cose precipitarono: il podestà di Viterbo Corrado di Alviano fece chiudere materialmente nel palazzo papale i cardinali, che reagirono scomunicandolo. Attorno alla Pentecoste del 1270, che cadde il 1° giugno, i cittadini viterbesi scoperchiarono il tetto del palazzo, che fu fatto riparare dalle autorità comunali dopo circa tre settimane. Probabilmente il tetto non era stato scoperchiato del tutto, ma erano state rese inagibili le “camere private” con i servizi igienici, una situazione quindi molto avvilente per i cardinali.

Dovette tuttavia passare ancora un anno prima di arrivare all’elezione del nuovo Papa. Il 1° settembre 1271 quindici cardinali (due erano gli assenti del collegio) decisero di utilizzare la forma giuridica del “compromissum”, affidando a sei di loro il compito di eleggere il successore di Pietro. Nello stesso giorno si arrivò a una decisione concorde, che fu poi approvata e ratificata da tutti.

Risultò eletto Tebaldo Visconti, arcidiacono di Liegi, che non era cardinale e nemmeno sacerdote. Piacentino di origine, da tutti stimato come onesto e saggio, era quasi sempre vissuto all’estero, collega all’università di Parigi di San Tommaso d’Aquino e legato in Terrasanta. Al momento dell’elezione si trovava al seguito del crociato principe Edoardo d’Inghilterra. Ci vollero quattro mesi prima che l’interessato, avuta la notizia dai messi del collegio cardinalizio a San Giovanni d’Acri in Palestina, raggiungesse Viterbo e poi Roma, dove nel marzo 1272, dopo l’ordinazione sacerdotale e quella vescovile, venne intronizzato con il nome di Gregorio X.

A lui si dovrà anche la codificazione definitiva del conclave come metodo per eleggere il Papa. Con la costituzione “Ubi periculum” veniva confermata al collegio cardinalizio la scelta del Papa senza ingerenze esterne. La chiusura del conclave sarebbe stata garantita dalla Camera apostolica, sotto la guida del camerlengo, che doveva provvedere anche alle vivande per i cardinali in clausura. Vi si precisava che, dopo tre giorni, il cibo veniva ridotto a un solo piatto a pranzo e a cena e che, dopo altri cinque giorni, sarebbe stato consentito solo il passaggio di pane, acqua e un po’ di vino fino ad elezione avvenuta. Insomma, non si voleva prendere per fame i cardinali, ma indurli a una dieta spartana se indugiavano troppo. Confermata infine la regola sulla maggioranza dei due terzi dei votanti, in vigore ancora oggi.


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